Si sa da dove si parte ma mai dove si va a finire, l’intento era parlare delle 5W+1H
Da un’idea del dottor Luca Riccardi, psicologo, amante della scrittura e di tutte le “arti” insite in ogni essere umano.
Dalla pagina di Storia di un maldestro in bicicletta, con la casa editrice BrentaPiaveEdizioni e con Jessie Singh, professione Ghostwriter.
Grazie a tutti i partecipanti al Lab e a chi avrebbe voluto esserci e grazie anche a Ricordati di dimenticare, e a tutte le esperienze di scrittura.
Intrecci di volti e vissuti, storie di vita e di rinascita.
… il mio CHI.

da pag. 39
Per mesi e mesi, nei momenti tristi, mi ha sostenuto il pensiero di lei e del suo essere. Un miscuglio di forza e fragilità, dolcezza e incertezza.
Per me Silvia ha significato speranza. E futuro.
Immaginarla indifesa ma forte, impaurita ma caparbia, triste per la condizione di ammalata di tumore ma felice per il suo bambino, che doveva difendere da tutto, anche dai pensieri bui, determinata, fiduciosa, che avrebbe vinto sulla malattia, mi faceva ben sperare, anche quando la tristezza prevaleva su tutto.
Abbracciarci, commuoverci, asciugarci le lacrime, all’istante, sono stati gesti riflessi, ma non era da noi concederci di essere emotive, perché piangere significa fragilità, e nessuna delle due se lo poteva permettere. Avevamo così tanta strada da fare ancora…
Nella mia scrittura, ogni parola scaturisce con fatica. Il vocabolo perfetto non esiste, c’è sempre la virgola da sistemare, il sinonimo da scegliere, la grammatica che traballa. E il sapere è pura lacuna incolmabile.
Mi piacerebbe saper citare Dante, Filosofia Greca, scrittori di fama, ma già è un’impresa parlare di quanto conosco, ci mancherebbe solo Dante.
Sono così tante le parole che non uso nel quotidiano. Sinonimi e contrari, dai tempi della scuola dell’obbligo, ne avessi imparato uno al giorno, avrei un tesoro dove poter affondare le mie mani.
Rileggere alla noia non è solo piacere o conferma, ma anche necessità. A ogni passaggio sciolgo frasi che in prima battuta erano imbrigliate e necessitano di essere modellate.
Con la scrittura autobiografica, saper incastrare il termine appropriato, riuscire a trovarne la giusta collocazione, calibrarne il significato, dosare l’intensità, rientra nell’emozione stessa che si sta raccontando. Che senso ha parlare di sentimenti, di emotività se non riesci a palesarle? A te, agli altri.
Dire “ti voglio bene” a un genitore, ma non è uno sforzo immane?
TVB è stato il mio primo ti voglio bene a mia madre.
«Non capisco, cosa vuoi dire?» mi chiese.
Come si possono esprimere i sentimenti a suon di acronimi? E a cinquant’anni!
Per descriverli bisogna prima scavare in se stessi, accettarli, tracciarne i confini, semplificarli. E darne consistenza.
Questa è la mia scena quando devo esporre quanto sto raccontando.
Sono riuscita a emozionare? Ho mostrato le sensazioni?
Certo che a ogni racconto che porto a termine e che aggiungo, la storia che si va a delineare e la somma di questi componenti mi fanno percepire la felicità elevata all’ennesima potenza.
Ma quella Cosa è davvero uscita da me!?
Ma è pur vero che quando gli scritti prendono il loro corso, è come se delle particelle si staccassero, dal mio corpo. Non sono dei pezzetti che si possono toccare o vedere, ma respiri, calore, sensazioni, paura, aliti, concetti non materiali ma che vivono di forma propria. E che allontanandosi mi fanno sentire svuotata.
Come si fa a essere felici se lasci andare la ragione della tua felicità?
Mi è tutt’ora presente quel tempo quando scrivevo nell’ombra. Mi sentivo ombra. Mi ci perdevo nell’ombra, ma vi trovavo anche riparo.
Per uscirne, ho dovuto prima affermare me stessa. Una sorta di non senso.
Non credere in sé ma affermare la propria persona, il proprio sentire, senza crederci, per arrivare a crederci.
Ecco perché cercare di connettere il lavoro di Ghostwriter al mio piccolo mondo di Autrice mi confonde. Ci sono aspetti che vanno oltremodo in contrasto, altri che si avvicinano così tanto da poter tracciare una linea retta tra le due scritture, che poi una è, perché di scrivere si tratta.
Essere ghostwriter non è curare un’Antologia o dare uno sguardo al racconto di una persona.
Significa che sei l’Autore di un pensiero, un racconto, che lo hai creato con il modo di scrivere di una persona che forse, forse, manco ha un modo di scrivere.
Significa respirare i personaggi a cui stai dando vita e non poter dire che sono tuoi.

Svegliarti nel cuore della notte per riportare una frase da non dimenticare, che poi non sarà tua.
Forse, per meglio comprendere, devo aprirmi a un qualcosa che va oltre le parole scritte, smetterla di pensare che quando racconto lo faccio per me.
Forse scrivere è generosità intellettuale. È sicurezza di sé.
È lasciare andare libere le sensazioni che mi hanno aiutata a sentirmi libera.
Stupendi e commoventi tutti gli scritti nati da questa serata, particolarmente toccanti perché la penna ha messo su carta quello che dettava il cuore. Complimenti a tutti i partecipanti
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Peccato non ci fossi, sarebbe stato come il topping su una torta alle fragoline di bosco. 🍓
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