Mi è stato proposto di parlare di cappelli, e l’idea mi è piaciuta da subito. Ma che cosa ne so? Poco o niente, anche se da qualche settimana ne indosso di colore azzurro pastello, a pois, military, nero… Non per questione di stile, o perché seguo la moda. Nel cappello nascondo i miei timori, una sorta di maschera per la testa, e non solo. Però, ho deciso! Voglio provare a liberarmi da una delle mie paure.
Mi chiamo Maria Cristina, ho cinquantatré anni e mi sono ammalata di tumore.
Non lo dico per esibire la mia malattia, non amo “mostrare”. Però, ho deciso di uscire allo scoperto. Perché? Forse chi si riconoscerà in me, chi avrà la pazienza di leggermi, si potrà alleggerire da quel macigno che ci portiamo dentro noi donne ammalate di cancro. E forse ancora, farà bene a me, alla mia autostima.
La mia testa è coperta perché mi vergogno di essermi ammalata. Che assurdità, vergognarsi di stare male. Come se avere un tumore fosse una colpa, la giusta punizione per… già, per che cosa?
Esco di rado. Il solo pensiero di scendere le scale e incrociare lo sguardo dei miei vicini, mi blocca. Certo che sanno di me, di quanto mi sta capitando. Certe voci corrono veloci. Quasi sfrecciano. E rimbombano.
Quando proprio non posso restarmene chiusa in casa, indosso il mio copricapo e faccio come nulla fosse. Ma se percepisco occhi puntati addosso, sulla mia testa, si salvi chi può! Non so mai come reagirò, le parole escono, confuse.
«Che hai da guardare? Mai vista una che indossa un cappello?».
Paleso certezze che non ho. Reagisco come posso. Sento un dolore sordo che mi spacca. Non bastasse, lo specchio e io siamo poli opposti. Non sono davvero io l’immagine che riflette. I capelli mi arrivavano alle scapole, lisci, biondo scuro, stirati. La donna dal viso abbronzato ha lasciato il posto a una con la pelle grigio-verde. E le sopracciglia quasi non ci sono più. I miei occhi sono spenti. Mi sto spegnendo anch’io.
Le terapie trasfigurano. Le terapie salvano ma stravolgono. Dentro e fuori. Ma se io non riconosco me stessa, come possono farlo gli altri, come posso far emergere la persona? Esiste un modo per avvicinarci, per non abbassare gli sguardi?
Ammalati, persone sane, riusciremo mai a guardarci con gli occhi di adesso? Perché io vivo, ora. Io sono ora. Sono la persona che ti sta di fronte. Sono quella che riesco ad essere. Non sono che me stessa. Sono una persona, non la mia malattia.
In questi giorni, mentre cercavo di documentarmi per questa storia dei cappelli, ho trovato nel web una pagina che mi piace, e che voglio riportare.

A testa alta… Madame Paulette
“Madame Paulette, al secolo Pauline Adam de la Bruyère, fu la regina delle modiste e conquistò il mondo con i suoi copricapi. Iniziò la sua carriera nel periodo della Seconda guerra mondiale, quando inventò il turban-bicyclette, grazioso cappello che ovviava alla mancanza di coiffeur durante il periodo bellico, perfetto per andare in bicicletta. Da lì iniziò la sua scalata al successo, negli anni ’60. La moglie del Presidente Ford ordinò dozzine di cappelli alla modista. A ottant’anni suonati rifiutò di chiudere i battenti. Karl Lagerfeld la volle per la sua prima collezione Haute Couture firmata Chanel nel 1983, così come fece mademoiselle Coco nel 1971 quando domandò a Paulette di essere lei e solo lei a realizzare le pagliette di tessuto per la sua collezione. L’attrice che meglio rappresenta l’eleganza di Madame Paulette è Audrey Hepburn. La modista era solita dire “L’eleganza parte dalla testa. Del resto a cena, di una donna si vedono solo due cose: il cappello e i gioielli”.
Allora ho pensato che è anche grazie a questa donna se esistono i cappelli che compero ai mercati rionali, quelli che dico non essere alla moda. Mi spiego.
Avete presente il film Il Diavolo veste Prada?
La protagonista, Miranda con un semplice monologo è stata in grado di smontare la consapevolezza delle scelte di parte del pubblico, agganciandole a un disegno studiato a tavolino per manipolarne le preferenze di consumo.
“Tu pensi che questo non abbia nulla a che vedere con te. Tu apri il tuo armadio e scegli quel maglioncino infeltrito perché vuoi gridare al mondo che ti prendi troppo sul serio per curarti di cosa ti metti addosso” sentenzia a un’impreparata Andy, “Ma quello che non sai è che quel maglioncino non è semplicemente azzurro, non è turchese, non è lapis. È effettivamente ceruleo. E sei anche allegramente inconsapevole del fatto che nel 2002 Oscar de la Renta ha realizzato una collezione di gonne cerulee e poi è stato Yves Saint Laurent a proporre delle giacche militari color ceruleo. E poi il ceruleo è rapidamente comparso nelle collezioni di otto diversi stilisti. Dopodiché è arrivato a poco a poco nei grandi magazzini e alla fine si è infiltrato in qualche tragico angolo casual, dove tu evidentemente l’hai pescato nel cesto delle occasioni e siamo al limite del comico quando penso che tu sia convinta di aver fatto una scelta fuori delle proposte della moda quindi, in effetti, indossi un golfino che è stato selezionato per te dalle persone qui presenti”.
Ecco che forse il mio cappellino lo ha realizzato in prima battuta Madame Paulette, lei non faceva mai bozzetti. E qualcuno lo ha copiato, stravolto e realizzato al punto da costare quattro soldi, e da finire in una bancarella del mercato. E io l’ho acquistato.
Allora grazie Madame Paulette, anch’io indosso uno dei suoi cappelli!
Da qui a quest’altra notizia che mi ha divertita, non so come ci si possa essere arrivati.
Arriva il “Selfie Hat”
Il primo cappello porta tablet
Ottobre 2014
È stato presentato pochissimi giorni fa e la notizia ha già fatto il giro del mondo. Durante la scorsa London Fashion Week, e per la gioia di tutte le ‘selfie-addicted’, è approdato in passerella il Selfie-Hat, un cappello decisamente poco sobrio ideato dallo stilista Christian Cowan-Sanluis, noto per aver disegnato molti dei vestiti di Lady Gaga.
“Il nuovo oggetto di tendenza ricorda palesemente un enorme sombrero messicano ma con questo cappello ha ben poco a che vedere. Il Selfie-Hat è fuxia, scintillante al pari di una palla da discoteca, e soprattutto – probabilmente – maledettamente pesante. Il cappello pensato per i selfie ha un ‘piccolo’ supporto per un tablet. Con questo nuovo cappello i selfie verranno sicuramente benissimo ma una cosa è altrettanto certa: probabilmente non lo vedremo mai in giro”.

E per fortuna così è stato. O comunque a me non è capitato di vederne.