Allora mi prenderò un cappello | Rewind

«Ma lei è contenta di quello che stiamo facendo? È contenta di avere scritto un libro? Glielo chiedo perché non lo dimostra apertamente».

«Se sono contenta?»

Marzo 2016. In sala d’attesa del DHO di Camposampiero, per il progetto “Un mare di idee – Lunedì con l’Autore”, Brunello Gentile parla di esperienze e incontri fatti andando per mare. Non sospetto affatto che da lì a poco anch’io intraprenderò un viaggio. Il dottor Luca Riccardi, Terapeuta responsabile di reparto mi fa un cenno. «Ha un attimo Cristina? Le vorrei parlare».

Tutto è iniziato da qui. Era lunedì, mi si chiedeva se me la sentivo di provare a scrivere. Un mese prima ero stata coinvolta nella scrittura di un libro a più mani che ad oggi è un’Agenda. Bastava un solo racconto, nell’arco di quattro settimane ne ho presentati una dozzina. Prima ancora, controvoglia, avevo partecipato a un corso di Scrittura Creativa tenuto da Paolo Leibanti, un Lab di narrazione che avrebbe dovuto aiutarmi a curare ferite invisibili. Da subito, ero scettica fino all’osso, non credevo minimamente all’utilità di quel percorso e avevo deciso di partecipare con un unico scopo: dimostrare che si sbagliavano. Come caspita poteva un corso di scrittura farmi dimenticare di avere un tumore! Era ovvio che stavano, tutti, prendendo un abbaglio.

Invece, via via che frequentavo le lezioni, ho capito che proprio quello sarebbe stato il mio modo. Se per guarire dalle cicatrici dell’anima dovevo fare uscire il dolore, quello che prima o poi sarebbe diventato un macigno, ebbene, ci avrei provato.

Allora mi prenderò un cappello | Rewind

«Non riesce a parlarne? Lo scriva!»

Ed è proprio questo che è successo. A volte il destino gioca come il gatto con il topo, e di un gatto nero ho raccontato. Il mio vissuto di malattia che si trasforma in percorso di cura. Tanti fogli di carta che piano piano si riempivano delle storie di quanto vissuto in prima persona, di emozioni provate. Un dialogo tra me e me, che senza accorgermene, è diventato “Allora mi prenderò un cappello”.

Il titolo suggerito da Paolo non mi convinceva. Ho lanciato una sorta di sondaggio su Facebook, ho chiesto un parere a conoscenti, a quanti incontravo, a persone che non avevo mai visto. Era una decisione che non riuscivo a prendere, temevo chissà che catastrofe, ero come sorda, anche con chi mi diceva che non sarebbe successo niente di catastrofico. Ci tenevo così tanto ai miei racconti, scriverli non è stato semplice, c’erano una serie di cose che affrontavo per la prima volta, tra cui il pudore, verso me stessa. Me li sono sudati, li ho vissuti come un qualcosa di prezioso di cui dovevo prendermi cura. Sono state tutte coincidenze strane. Tasselli che sembravano essere di puzzle diversi ma che via via si sono incastrati l’un l’altro. E per fortuna che chi ha partecipato al sondaggio ha saputo scegliere al meglio.

«Chieda a Paolo se le da una mano. Lei scriva e gli mandi tutto via mail».

Questo suggeriva il mio terapeuta. Come potevo provarci se non riuscivo a mettere insieme i miei pensieri. Io che li elaboro, che li metto nero su bianco, che li mando a Paolo, una persona che quasi non conosco. Io che scrivo un libro…

«Dipende da lei e da quello che vuole fare con tutte quelle parole».

Ci sono frasi che non posso dimenticare. Ci cono momenti che resteranno indelebili.

COSE CHE SI SANNO, COSE CHE NON SI SANNO

Sapere e non sapere, questo è il problema.

Questa mattina sono andata dal mio medico di base. In sala d’attesa c’erano delle persone. La segretaria mi chiede chi sono. «Sono l’appuntamento delle 12.15» ma lei vuole sapere come mi chiamo. Deve scansionare degli esami che ho portato in visione. «Lei ha fatto l’emocromo e…» L’ho bloccata all’istante, stava leggendo la lettera del mio Ematologo, dove c’è scritto la diagnosi e la terapia che sto facendo. «Per favore, un po’ di riservatezza» supplico. «Faccio solo il mio mestiere» mi risponde.

Sì, lo so, ma dovrebbe sapere che c’è modo e modo di fare il proprio mestiere.

Quando arriva il mio turno entro in ambulatorio. Metto al corrente il mio medico di quanto stava accadendo. Mi risponde che dovrei sapere che in questi posti non si può guardare tanto alla privacy.

Quando vado in Ematologia il personale mi dice: «Lei ci è già passata, non serve che le spieghiamo». Sono tutti molto premurosi. Io lo so che il personale mi riserva un trattamento speciale. Mi chiamano “la nostra paziente speciale.” 

Loro non lo sanno che in realtà io mi sento una sorvegliata speciale. «Di effetti collaterali non ne parliamo, tanto lei già li sa».

Da qualche giorno prendo una ciocca di capelli tra le dita, e tiro. Ma non succede niente. Forse sono ricresciuti più forti, forse questa volta non li perderò.

Questa sera in bagno ho fatto la stessa cosa, ma la ciocca di capelli mi è rimasta tra le dita…

continua

Allora mi prenderò un cappello | Percorso di cura

Stesa sul divano, tastiera appoggiata sulle gambe, proprio come adesso, e giù a scrivere. Rivedere gli appunti presi durante il giorno, tra un appuntamento e l’altro, mentre attendo un esame, nella sala d’attesa in qualche corsia d’ospedale, mentre guidavo. Mi annotavo tutto quello che mi passava per la testa, sia mai che mi tornasse utile. E così è stato. Quante pagine ho inviato, a notte fonda. Quante note in rosso mi sono ritornate. Quando ho scritto la parola fine, non riuscivo a credere a quello che avevamo fatto.

Come dice il mio lettore esigente, così ama definirsi Paolo, il libro l’avrei scritto ugualmente. L’editing sarebbe arrivato in un secondo momento. Ma per me questo è stato un lavoro di squadra: ad ognuno il proprio ruolo. Il motivatore, lo scrittore, l’editor. Siamo stati proprio una bella squadra. Quasi non pensavo ad altro, non c’erano chemio, radio, tac, risonanze che potevano tenere il passo con il desiderio di rifugiarmi nella scrittura, il mio spazio felice, dove niente era pauroso. La paura faceva parte della realtà, ma quando scrivevo, io ero altrove.

Mi mancano così tanto quelle notti. Vorrei poter vivere un’esperienza altrettanto forte. No, non una malattia, ma un’esperienza che mi toccasse ancora nel profondo da poter rivivere il piacere che ho provato: prendermi cura di me anche grazie alla scrittura. Un po’ come adesso, con le parole che fluiscono senza tanto pensare a cosa voglio esprimere. È già tutto nella mia testa, basta scriverlo. Ad oggi continuo con questo percorso. Ho capito che la scrittura è la mia medicina. Lo ha inteso anche mio marito. Capita che quando rincasa per cena non ci sia niente sui fornelli. Mi guarda e dice —Non importa, faccio io. Tu continua a scrivere.

Ha compreso che sono ritornata a condividere il nostro tempo anche grazie alla scrittura. Eppure, entrambi sappiamo che niente sarà più come prima.

Allora mi prenderò un cappello | La vita sottosopra

La nostra casa non è perfetta, anzi a volte è davvero un gran casino, però, perfetta non lo era nemmeno prima. Le mie priorità sono cambiate. Non che prima non avessi obiettivi, ora sono solo diversi. Gran parte ruota attorno alla scrittura e a quello che posso fare, nel mio piccolo, per il sociale.

Per una Onlus, faccio la volontaria ospedaliera in un Centro Immuno-trasfusionale. Non posso donare i miei emoderivati, e un domani i miei organi? Dono un po’ del mio tempo. Lo facevo anche prima, ma adesso vorrei applicarmici di più. Da qualche mese con una mia collega stiamo ragionando su come migliorare il servizio che assolviamo.

Continuo a scrivere. Non so se riuscirò a farne un altro libro. Al momento sono una sorta di articoli. Lo facevo anche prima: in gioventù scrivevo per i miei amici, piccole storie e poesie per occasioni speciali. Adesso qualcosa viene pubblicato, altro lo invio a dei concorsi letterari. Altro ancora lo conservo a PC. Forse un giorno mi tornerà utile per intraprendere un nuovo viaggio di scrittura, come quello, inaspettato, iniziato appena un anno fa.

Allora mi prenderò un cappello | La mia isola felice

Febbraio 2017.

«Ma lei è contenta di quello che stiamo facendo? È contenta di avere scritto un libro? Glielo chiedo perché non lo dimostra apertamente».

Se sono contenta? Dentro di me faccio i salti mortali, ma mi trattengo. Non so se riuscirò mai a far capire quanto io ci tenga al mio libro. Quando per molto tempo si è stati tutt’altro che felici e a fatica si arriva a riappropriarsi di spazi sereni, di un po’ di felicità, hai paura che tutto cambi, che qualcosa stravolga ancora la tua vita. Temi che tutto quello che stai vivendo ti venga sottratto. Che qualcuno o qualcosa si porti via quello che tu ritieni importante, a cui tieni per davvero. “Allora mi prenderò un cappello” è la cosa più bella che io abbia mai fatto. Per molto tempo è stata la cosa più preziosa che avessi, ed era tutta mia. Non erano solo racconti, sono usciti da me. Come Brunello Gentile, anch’io avevo scritto di esperienze e incontri di viaggio.

Non sono una secchiona, non ho lauree, non sono andata oltre la scuola dell’obbligo. Scrivere un libro è stata una conquista. Continuare a scrivere è una sfida, con me stessa. L’ho fatto una volta, posso provarci ancora? Potrei riprovare a mettermi alla prova. D’altronde, se qualcuno ha visto qualcosa in me, se ha pensato di aiutarmi a trovare un mio modo di espressione, come posso non osare?

Allora mi prenderò un cappello | Parliamone

Chiusi in quella stanza del DHO Oncologico di Camposampiero, con il dottor Luca Riccardi abbiamo osato, alla grande. Di nuovo.

«Vorrei che il libro che ho scritto non fosse fine a se stesso», come se scriverlo fosse un’azione di tutti i giorni, «ma che divenisse un dialogo con le persone che sono state toccate da una diagnosi di tumore, il mio modo di essere d’aiuto». Non sapevo nemmeno cosa volessi dire, non mi era ancora chiaro in testa. Ecco un altro tassello che si sarebbe aggiunto agli altri. Condividere. Parlare di come ho curato me stessa, non da professionista, ma da donna che ha vissuto molti aspetti della malattia oncologica sulla propria pelle.

A una presentazione tenuta in reparto a Camposampiero, sempre per il progetto “Un mare di idee – Lunedì con l’Autore”, dove l’Autore ero io, aiutata da Brunello Gentile che di presentazioni ne ha sicuramente fatte più di me, ho esordito dicendo «Sono una di voi». I presenti mi guardavano straniti, le loro fronti aggrottate a chiedersi cosa cavalo stessi dicendo, mi hanno fatto tremare la voce. E non solo. Ma non ho desistito, non era che la verità. Sono una persona come tante, e come tante ho sostato in molte sale d’attesa d’ospedale, ma faccio quanto possibile per trarre il meglio anche da periodi, da situazioni che si vorrebbero dimenticare. Il mio modo di ritornare alla vita. Cercare di essere, e di sentirmi utile.

Anteprima(si apre in una nuova scheda)

Progetto “Un mare di idee” | Lunedì con l’Autore

Allora mi prenderò un cappello | Ci vorrei provare

«Ma lei è contenta di quello che stiamo facendo? È contenta di avere scritto un libro? Glielo chiedo perché non lo dimostra apertamente».

Sì, sono molto contenta. “Allora mi prenderò un cappello” e quello che ne è seguito, mi ha reso molto felice. Penso che ne sarò orgogliosa per il resto della mia vita. E sono arrivata a una conclusione.

Allora, proverò a scrivere.

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