Allora mi prenderò un cappello | 24 febbraio 2017
«Questa sera i tuoi occhi hanno una luce particolare». Anna Tringali mi saluta così, e un abbraccio.
Siamo a Bolzano Vicentino, in Sala Consiliare. Il dottor Fernando Gaion Presidente della Fondazione Altre Parole, e la dottoressa Paola Pilotto, Giornalista del Mattino di Padova e moderatrice della serata stanno parlando tra di loro. A breve inizieremo la presentazione.
Anna, attrice professionista, proprio per il lavoro che fa, per la sua sensibilità, perché con i suoi spettacoli teatrali porta in scena le emozioni, per i suoi trascorsi che in qualche modo ci legano, mi ha visto dentro. Ci conosciamo da… non posso dire che ci conosciamo. Ma a queste serate a tema, lei è una di noi. Come quanti partecipano attivamente alle presentazioni, anche lei abbraccia il progetto che da sempre è una delle Mission della Fondazione: raggiungere più persone possibili, essere di supporto a quanti ammalati di tumore e ai loro familiari.
Concluso il mio percorso di cura, dopo averne scritto un libro, seguita da Paolo Leibanti, avevo un’idea indefinita che ho espresso al dottor Luca Riccardi, Dirigente Psicologo di reparto, che oltre ad avermi sospinto verso la scrittura, mi ha aiutato a realizzare il desiderio di farne un dialogo. Il mio modo di essere d’aiuto a quanti vivono una realtà oncologica, ponendomi alla pari, poiché il presente di tanti è anche il mio, e ne comprendo le emozioni.
Parlarne non da professionista, non lo sono, ma in prima persona: so cosa vuol dire essere ammalati di tumore, ne ho provato molti aspetti, fisici e psicologici.
24 febbraio | Presentazione a Bolzano Vicentino
Quelle che chiamo presentazioni non sono che finestre di dialogo. L’argomento è difficile. Lo è stato anche per me, lo è tutt’ora.
Ma chi meglio delle persone che hanno provato sentimenti scaturiti dal vissuto di questa patologia, possono cercare di semplificarlo?
Sebbene raccontare il mio vissuto non sia una cosa semplice. Scatena in me sentimenti contrastanti. Ogni volta che lo faccio è come mi mettessi a nudo, perché mi disfo dei filtri che uso a difesa personale.
Mostrare le mie fragilità significa spogliarmi davanti agli altri.
Non sono che una persona come tante, e da qualche mese parlo in pubblico. Ho una mia tattica, la stessa di quando ho scritto quei racconti: sono solo la persona che ne parla, l’ammalata è quella del libro. Ma Bolzano Vicentino è il paese dove ho vissuto in gioventù. Ecco perché Anna ha visto quella luce nei miei occhi: sono più emozionata del solito.
Parlando di “Allora mi prenderò un cappello”, del perché l’ho scritto, racconteremo anche di un mondo che io definisco sommerso: l’Oncologia. E i miei paesani verranno a sapere dei miei trascorsi, delle motivazioni, dei miei perché, di cosa voglio esprimere.
Insomma, farlo nel paese dove sono cresciuta mi fa sentire più vulnerabile.
Allora mi prenderò un cappello | Storie di vita
Pochi istanti prima di iniziare la serata, la frase che ci scambiamo, una sorta di scaramanzia, è sempre la stessa: “Facciamo come al solito, andiamo a braccio!” E ridiamo, assieme ai presenti.
Forse non ci credono veramente ma è proprio così che funziona: non c’è nessun accordo preliminare. D’altronde, cosa c’è di meglio che essere se stessi?
Non facciamo che raccontare una storia, brevi racconti di vita, episodi scritti proprio come sono stati vissuti. Niente di inventato. Paola ci conduce per mano, senza manierismi né spettacolarizzazioni. Parliamo di dolore ma anche di gioia, di paura ma di speranza.
Il dottor Gaion introduce la Medicina Olistica. Chi ascolta, non so bene se comprenda, io sì. Da persona scettica e anche un po’ pessimista, voglio testimoniare che una patologia tumorale si cura su più fronti. Medicina tradizionale, aiuto psicologico, attenzione alla persona.
Bolzano Vicentino | Uniti alle persone
La presentazione è terminata, viene offerto un rinfresco. Ma la serata non è finita. I pochi rimasti si soffermano. Una domanda su tutte: “Conosciamo persone ammalate, non è facile avvicinarsi. Come possiamo fare, quali sono le frasi da dire?”
Nessuna formula segreta, non c’è un modo giusto o sbagliato. L’unica cosa che mi sento di consigliare è di comportarsi come sempre, con la voglia di capire, mostrando vicinanza, ascoltando. Un ammalato di Cancro veste su di sé i pregiudizi di questa malattia, avere al proprio fianco le persone, è già di per sé un grande aiuto.
Consiglio di non palesare risposte che non si hanno, perché non servono, e manco si vogliono. E di tacere frasi di pura circostanza.
«Ce la farai. Tu sei una persona forte. Ti vedo proprio bene. Non sembra che tu stia facendo chemioterapia. A vederti pensavo peggio. Stai proprio bene con il cappello. Sei bella anche senza capelli…». Queste sono solo alcune delle frasi che a me hanno dato fastidio. Togliamole dal nostro parlato.
Perché non proviamo con: «Di cosa hai bisogno? Ti serve qualcosa? Vado a farti la spesa? Ti aiuto nelle faccende domestiche? Passo a fare due chiacchiere. Ti vengo a prendere e andiamo a farci un giro…». Piccole azioni che fanno sentire l’ammalato meno solo, un aiuto tangibile fatto non solo di parole.
Allora mi prenderò un cappello | Concludendo
Vedere l’amore delle persone, la comprensione, la volontà di entrare in questo mondo sommerso, il sottosuolo oncologico, può fare la differenza. Questa è una malattia che si combatte partendo dalle basi, dal pregiudizio e dalle false credenze. La malattia non è una scelta, né tantomeno una colpa. Succede.
Continuando a dialogare con i presenti, ho amato una frase: «Pensa che le persone che sono qui, ci sono perché hanno scelto di esserci».
Confesso che a mio volta ho pensato: Ma tu Cristina sei contenta di essere qui? Sei convinta di quello che stai facendo?
Non ci ho messo più di tanto a rispondermi. Non vorrei, non potrei essere in un altro luogo, se non qui. Questo è il mio posto. Non me lo sono guadagnato. L’ho voluto! E non perché mi è arrivato tra capo e collo, come la mia malattia. Ho scelto di esserci. Assieme alla Fondazione, alle persone come Paola che conduce la serata, ad Anna che interpreta gli scritti, al Dottor Fernando Gaion con la sua testimonianza di una medicina vicina alle persone, al dottor Luca Riccardi, a quanti non nomino, a chi lavora in prima linea per chi come me ha contratto questa patologia, per i nostri familiari. Ognuno di noi, non vorrebbe che essere qui.

Come dice Anna: «Queste serate a tema fanno bene a tutti, a noi per primi».
E ancora, «Fammi sapere le altre date, ti aiuterò come posso, cercherò accordi per altre serate».
Tutte persone normali, a cui non servono tante parole, perché sintonizzate sulla medesima frequenza. Concludo con una frase di Paola.
«Estraiamo dal nostro cappello le cose belle e il talento sopito in ognuno di noi» conclude Paola.
Allora non mi resta che augurare
Buon Cappello a tutti!