Dieci secondi per pensare

8.18 ‒ Tampone rapido in ambulatorio Covid, fatto.

9.51‒ Per motivi che boh, mi si cerca in tre. Il cellulare è tutto uno squillo, di mio sono al telefono fisso e non so più a che santo rispondere.

9.54 ‒ Richiamo uno dei tre.

«Ti hanno chiamato dall’ambulatorio tamponi. Sei risultata positiva. Mantieni la calma. Molla tutto e vai».

Scappo da dove sono. Prima di uscire che faccio? Spalanco la finestra! Come se i micro-Covid se ne potessero uscire a prendere una boccata d’aria.

Come caspita è successo, come caspita è successo, è il mio mantra. Indosso la mascherina, sempre, sanifico. Al supermercato se c’è gente svicolo. Al lavoro mio marito la mascherina la usa da oltre vent’anni. Ora se la mette alle 7.00 e la toglie al rientro a casa. Per le scale del condominio non incrociamo, niente riunioni né bilanci da approvare. Non frequentiamo, non andiamo al mare a vedere case, non socializziamo.

Necessità a parte, i viaggi più lunghi sono camera da letto, divano, bagno.

M a  c o m e   c a s p i t a   è   p o t u t o  s u c c e d e r e.

Non per me, manco mi fa paura il Covid. Ma mia madre il 21 di aprile di anni ne farà ottantasette. E ieri pomeriggio siamo andate a spasso. In macchina.

Tre ore di “che bella quella casa, che colori quella magnolia.

Guarda fiori che hanno quei ciliegi, quelli sono alberi di pesco.

Chissà dove porta quella stradina?

Tornerei a Rovolon. O a Tre Ponti nell’Osteria con terrazzo.

Peccato non si possa pranzare fuori”.

Per tre ore abbiamo respirato la stessa aria. E adesso, che faccio?

Non bastasse, sbaglio strada, di trovare un parcheggio non se ne parla, giro a vuoto, penso, scuoto la testa, ipotizzo. Ma davvero non comprendo.

45 minuti ‒ Gira e rigira il parcheggio lo trovo. Nel frattempo chiamo il secondo numero, ahimè, è il centralino dell’ospedale, che a mettere qualsiasi pirla a fare quel lavoro lì ci avranno impiegato mesi di concorsi, ma caspita se l’hanno trovato il pirla. Che mi risponde pure a vanvera.

All’accesso dell’ambulatorio tamponi c’è coda, che faccio? Sto lontana, chiedo info, nessuno mi si fila, mi guardano come volessi fare la furba. Me ne frego, vado di sguiscio, e dico «Se nessuno mi sa rispondere, entro a chiedere». Mi sento occhi puntati addosso che manco una perforatrice.

Certo che ho saltato la coda, ovvio, che faccio, sto lì? Infetto?

Ambulatorio info-Covid, busso. «Non ha le etichette? Ah c’è troppa gente fuori, no no ha fatto bene. Dia la tessera, non si preoccupi, facciamo noi. Si accomodi».

Dicono di stare tranquilla, ma non funziona più di tanto.

«Mia madre, sono preoccupata per mia madre».

«Lo sappiamo, è così per tutti sa?»

Calma! Devo mantenere la calma. Altra stanza, altra infermier… no, è Olga, la stessa di prima mattina. Bionda, verace. Avevamo scherzato, sedevo tra tavolo e armadio. ‒ Io sono quella al centro, mi raccomando.

Da sotto la visiera le erano brillati gli occhi, la risata le era uscita scoppiettante. ‒ Ciao alla prossima, tra quindici giorni ti ritrovo ancora Olga?

E invece rieccomi. Tre ore appena e sono al punto di partenza, anzi no, sono messa peggio.

Positiva! Ma come sarà successo!?

Olga: «Toh, che ci fai ancora qua, abbiamo processato i tamponi ma il tuo non me lo ricordo. Sarà stato quando mi sono allontanata. Ci ha pensato il mio collega. Stai tranquilla. Adesso ripetiamo il tampone rapido e aggiungiamo il molecolare. No, non ti diciamo nulla a breve, ci vorranno cinque ore almeno. Per accelerare i tempi, porta questa busta in microbiologia, stai tranquilla, andrà tutto bene».

Mia madre di anni ne farà ottantasette, non vede l’ora di festeggiare. DPCM permettendo, ha già deciso dove. Come faccio a stare tranquilla.

11.02 ‒ Microbiologia. Attendo fuori. All’ingresso, c’è scritto “Suona”. Mi hanno vista, non serve. L’atmosfera è allegra. Beati loro. L’equipe che lavora in armonia è una gran bella cosa. Ma in questo frangente non me ne può fregare di meno. Ho bisogno di capire come cavolo può essere successo!

«Stia tranquilla, stacco alle 17.00. A meno dieci se non ha ricevuto niente, mi mandi una mail, le risponderò di certo».

«La prego, non per me. Per mia madre. Ieri siamo state insieme. Da un anno esce solo con me».

«Dobbiamo aspettare l’esito. Non dica, non faccia niente. Vada a casa, si metta in isolamento preventivo».

Corro, a casa, mi fiondo a PC, per precorrere i tempi, scrivo una lista degli ultimi quindici giorni. E mentre la stilo mi rendo conto che davvero non ho visto quasi nessuno, e indossavo la mascherina. Ma se ho infettato mia madre, hai voglia a non sentirmi in colpa. Ci siamo protette in questi dodici mesi, nessuna delle due si può permettere un virus che mina uno stato di salute già di per sé precario.

Devo fare rallentare i pensieri, meglio che proceda con la lista.

Il mal di testa arriva, puntuale, la tensione contrae i muscoli. Il dolore alle scapole aumenta.  

Allora è proprio vero, sono positiva.

Mi corico un po’ ma il sonno non arriva. Controllo il cellulare. Niente. Ancora niente.

Ma porcoddue, come può essere successo, come!

Rincasa mio marito, racconto. Non lo avevo aggiornato. A cosa sarebbe servito preoccuparsi in due!? Me ne sono stata tranquilla, a casa. Ad aspettare.

Suona il telefono. «Buon pomeriggio, microbiologia. Sono Monica. La signora…» ma dimmi cavolo, dimmi. E saltali ‘sti cazzo di preliminari, sono io sì.

«Volevo comunicarle che il suo tampone è negativo».

«Ma vaffanculo! Oddio, non a lei Monica, alla situazione».

«Certo, certo ma, aspetti, mi scuso, ho fatto un errore. Questo è il primo, quello delle 8.18. Mi spiace ma li vediamo in sequenza, non avevo notato l’orario».

«Non si preoccupi. (Grrr) E adesso, che si fa?»

«E niente, per l’esito, mi richiami domani».

«Domani? Come domani. Mia madre, sono preoccupata per mia madre!»

«Io stacco tra un’ora. Se ha attivato il fascicolo sanitario, lo può consultare da lì. Manca poco alle 17.00, tra le 22.00 e le 23.00 dovrebbero processarne un bel po’. Speriamo che tra questi ci sia anche il suo. Altrimenti si saprà domani, richiami a metà mattinata».

«Ma che giornata di melma, l’avevo detto questa mattina che era tutto troppo tranquillo. Va bene Monica. Attenderò».

Altro non resta che fare passare il tempo. E in tutto quel carico di stress, il mal di testa che non cessa, la gola che ha iniziato a pizzicare, mi assopisco. Non sogno. Dormo.

18.45 ‒ Di preparare la cena proprio non se ne parla. E chi ha fame. Altro sintomo Covid, mancanza d’appetito. Il cellulare, squilla, ancora. Porcoddue, che palle.

«Buonasera Maria Cristina, sono Monica, eh sì, sono ancora qua. La chiamo per dirle che il suo tampone molecolare è… ».

Dieci secondi bastano per pronunciare queste parole. Dieci secondi di apnea. Dieci secondi di un peso che ti opprime al centro del torace. Dieci secondi interminabili. Dieci secondi in cui non si riesce a pensare, sei sola in balìa degli eventi. E già sai che dovrai accettare quello che sarà.

«… negativo!»

E allora, alla fine, sfiati.

«Ma vaffanculo! Oddio, ancora! Non a lei Monica, non a lei ma alla situazione.

Per farmi perdonare per la mia linguaccia, le porterò delle brioche, le porterò tutto quello che vuole».

«Porti, porti Maria Cristina, che qua è sempre tutto molto gradito».

«Grazie Monica. E buon rientro a casa».

Ride. Rido anch’io.

Mia madre è al sicuro. Tutto torna reale. E mi ritrovo a pensare che se pesce d’aprile doveva proprio essere, per un paio d’anni qua si può anche saltare.

Mia madre è al sicuro. Tutto torna reale. E mi ritrovo a pensare che se pesce d’aprile doveva proprio essere, per un paio d’anni qua si può anche saltare.

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